La violenza non ha sesso? Perché il patriarcato è un problema di tutti


Radicato nei costumi sociali dominanti, il patriarcato è una gabbia che costringe gli uomini all’obbligo di essere machi. Per tale ragione, è importante si evidenzi una premessa: la violenza maschile non è un’emergenza, ma è intrinseca alla normalità dei costumi sociali. 

Così come per la violenza mafiosa, quella maschile condivide un elemento comune: ogni individuo è sia partecipe che vittima del sistema stesso.


The Atlantic proclama la “fine dell’uomo” descrivendo l’uomo contemporaneo come prigioniero di modelli contraddittori, incapace di navigare tra virilità brutale e dolcezza comprensiva


Da questa prospettiva, è importante rivendicare un itinerario di liberazione per gli uomini, promulgando alle istituzioni l'importanza della consapevolezza dell’identità di genere e dell’integrazione tra razionalità e affettività. La gestione sana dell’aggressività e il riconoscimento dei propri sentimenti emergono come aspetti cruciali per il cambiamento, per cui è necessario un accesso diffuso agli psicologi di base per tutti, alla stessa stregua dei medici.



L’intera popolazione è chiamata a partecipare attivamente a questo processo di trasformazione.  Bisogna respingere a gran voce l’etichettatura degli uomini violenti come “squilibrati” e “malati”, sottolineando che sono sintomi di un sistema strutturale di cui tutti, uomini e donne, sono parte e corresponsabili.

Ma non si può più soprassedere sopra delle verità ancora negate: sebbene la violenza non abbia intrinsecamente un genere, è cruciale affrontare la violenza maschile come una questione strategica e lungimirante, poiché, esplorandone le radici da un punto di vista socio-economico, giuridico-culturale e simbolico-religioso, è un dato di fatto che il Patriarcato perpetui da secoli la discriminazione contro le donne e i diversi.


Il filosofo Duccio Demetrio, nel suo saggio L’interiorità maschile, sostiene che la soluzione non risieda nel guardare indietro, ma nell’accesso alla vita interiore. Invita gli uomini a esplorare una virilità più profonda e generosa, suggerendo che l’eroismo non risiede nell’invulnerabilità, ma nella vulnerabilità stessa.

Per ridefinire la visione della mascolinità, si deve poi ribadire il coinvolgimento degli uomini nelle responsabilità domestiche e nella gestione dei comuni bisogni, al fine di ottenere una percezione più ampia inclusiva della mascolinità, intesa come adultità.

Anche la sociologa Joan C. Williams sostiene che la soluzione non sia solo un cambiamento creativo nel ruolo familiare e lavorativo degli uomini, ma un profondo cambiamento interiore. Per superare l’inadeguatezza, l’uomo deve rinunciare all’arroganza dominante, accettare la propria fragilità e imparare a essere “solo interiormente”.


Il dibattito sulla crisi del maschio offre un’opportunità di esplorare nuovi modi di intendere la mascolinità. Forse la soluzione non risiede nell’imporre un “uomo nuovo” conforme a certi modelli, ma nell’abbracciare la complessità, l’ambivalenza e la ricerca di un cammino personale.


L’importante è superare le dicotomie tradizionali e accettare la possibilità di essere e fare, pensare e agire, dolci e forti allo stesso tempo. La liberazione diventa dunque un’urgente questione di necessità per entrambi i sessi, poiché la mentalità patriarcale è una morsa dalla quale sia uomini che donne devono emanciparsi.

Scritto da Giuseppina Mendola

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