Il “Teatro” di Marianne Mirage e Marquis: un affaire théâtral et érotique
Alle porte dell’estate, tra un torrido acquazzone e un vento di giugno che smuove polveri e chiome, i fumi della pizza e la birra ghiacciata fanno da anticamera popolare ad Elementi Festival, curato da Le Cannibale. Sul palco di Mare Culturale Urbano, sospeso tra desiderio e gioco, appare lei: Marianne Mirage, signora in rosso, corpo scalpitante sotto il segno della Bilancia, vestita di carisma e contraddizione. Lo sguardo è fisso, l’ironia affilata, la sensualità disinnescata da ogni cliché.
Il suo Teatro è una rivelazione che si muove, sbaglia, ama, trema e si rifà voce.
Pubblicato il 17 gennaio 2025, l’album – nove tracce cucite con mani cantautorali e tessuti retrò – si muove tra sacro e profano, gioco e destino. Dall’eleganza rarefatta di Cielo alla vertigine viscerale di Chiudi gli Occhi, dall’euforia festante di Due Anime al perturbante di La Canzone del Vampiro, l’ascoltatore viene strattonato tra il bisogno di ballare e quello di sciogliersi in un pianto liberatorio.
Poi arriva Ma ndo vai se la banana non ce l’hai? e l’incanto si fa spudorato: un inno alla Monica Vitti più anarchica e spensierata, qui non solo omaggiata, ma reincarnata. Non è revival: è reinvenzione. La sua presenza aleggia come nume tutelare di un femminile che si autodetermina, ride, sanguina e conquista.
Teatro è tutto questo: liberazione sensuale, spiritualità giocosa, catarsi sonora, introspezione e risata. Marianne incarna una voce che non si compiace. Mette in scena l’ironia intelligente, l’erotismo libero, l’introspezione che sa anche ridere.
Marquis
Dietro di lei, con orecchio finissimo e visione architettonica, c’è Marquis: producer, autore, alleato e compagno di viaggio nel tessere il telaio magico. Non si espone, ma lo senti ovunque. Nei loop cesellati con intelligenza, nei colpi di Farfisa che odorano di psichedelia asciutta, negli incastri armonici che chiamano in causa – senza inchini servili – Nada, Battisti, Battiato.
A un certo punto, Lumiero sale sul palco. Un occhio attento riconosce subito il rimando visivo e gestuale alla Trilogia del Padrone di Battiato. Una carezza agli inizi e, insieme, un ponte teso al domani. L’intesa tra i due è immediata. Duettano in Corteggiamento lento, tra groove che strizza l’occhio a Tullio De Piscopo e prende a schiaffi l’omologazione da playlist estiva.
Con erotismo calibrato ed eleganza inquieta, Marianne non solo celebra sé stessa, ma rende omaggio alle influenze che la contaminano. Canta La Notte di Laszlo De Simone, in un riconoscimento di fratellanza. Il palco diventa una casa condivisa, una camera ardente per tutto ciò che è stato e per quello che ancora ci spaventa diventare. Poi, come in un gesto da sessantottina cosmica, Don’t You Want Somebody to Love? chiude il sipario in un abbraccio collettivo.
Il risultato? Teatro è un inno alla vita. In equilibrio tra ieri, oggi e domani.
La performance live, è una macchina del tempo: vibra, sculetta, sospira. Passa dai velluti del varietà ai fili tesi del quotidiano senza snobismo, con la grazia impertinente di chi ha imparato a sporcarsi le mani restando lieve.
Mirage ha raggiunto la maturità artistica. Si prende il centro – col sudore, le smorfie, le ginocchia sbucciate di chi ha fatto pace con sé. Marquis la ascolta come pochi sanno fare: non per coprirla, ma per direzionarne il battito.
Non ci sono effetti speciali. Solo la specialità di ciò che è vivo.
Teatro ci mette davanti a uno specchio e ci sfida ad abbandonarci alla corrente di una forza chiamata amore: chiudi gli occhi, non c’è nessuno che ti farà male.
Scritto da Giuseppina Mendola | Founder di Sintesi Aurea
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