Solstizio d’estate | Splendore e soglia nel tempo capovolto del Capitalocene


“Ti insegnano a non splendere. E tu splendi invece” 

— Tratto da “Poeta delle ceneri”, P.P. Pasolini

I

Quando il sole è al culmine, comincia a morire.

Oggi, 21 giugno 2025, alle 4:42 del mattino, il Sole ha raggiunto il suo punto di massima declinazione rispetto all'equatore celeste. È il solstizio d'estate: il giorno più lungo, l'apice della luce. Eppure, proprio in questo momento di trionfo apparente, si nasconde una discesa silenziosa verso la decadenza. 


II

Ogni eccesso contiene infatti il germe del suo opposto.

Ce lo dice ogni tradizione sapienziale, dall'orfismo greco ai Misteri eleusini, dalla Qabbalah medievale ai Rosacroce, fino alla fisica moderna: nel momento di massima espansione si avvia il principio della contrazione.  In questa tensione, nel punto più alto della parabola, si annida l’inizio del ritorno, spia di una necessità strutturale.

Ogni sistema che raggiunge il suo limite estremo non può che invertire la rotta. Ogni cultura arcaica – celtica, baltica, mediterranea, etc.. – ha intuito che il tempo non scorre in linea retta, ma ondeggia tra espansioni e contrazioni, tra soglie e inversioni.

Il solstizio non è quindi solo celebrazione della luce, ma riconoscimento della sua fragilità. È il momento in cui l'energia solare – quella forza che incuba la coscienza e feconda la natura – rivela la sua natura ciclica. Tocca l'apogeo e immediatamente si volge verso il declino.

Fonte: DOP (door of perception)


III

Per Mircea Eliade – storico delle religioni che distingue tra tempo profano (lineare, quotidiano) e tempo sacro (ciclico, rituale)  – il solstizio d’estate è un punto di arresto apparente (solstitium = sole che si ferma), diremmo un tempo mitico condensato: un archetipo ricorrente (il culmine che si inverte) che ogni popolo rivive ogni volta in modo diverso - falò celtici, rituali vedici, feste cristiane, etc... La storia della creazione, della pienezza e del declino si ripete per così dire in miniatura. 

Rene Guénon distingue due "porte cosmiche": la Porta degli dèi (solstizio d'inverno), passaggio verso gli stati superiori dell'essere, ascesa spirituale, e la Porta degli uomini (solstizio d'estate), discesa della luce negli stati inferiori, incarnazione nel mondo materiale. È il momento in cui lo spirito accetta di "scendere" nel mondo fisico. Questa non è da intendersi una "caduta" negativa, ma un movimento necessario del ciclo cosmico: per risalire, bisogna prima discendere consapevolmente.

Parimenti, l'ermetismo rinascimentale ha sempre visto nei fenomeni naturali non semplici "simboli", ma vere e proprie tecnologie di trasformazione

Il Corpus Hermeticum ci insegna a codificare e osservare la Natura – leggendola come alfabeto di corrispondenze segrete e dinamiche, che trovano nella Tavola Smeraldina la loro formulazione più celebre: "Ciò che è in basso è uguale a ciò che è in alto, e ciò che è in alto è uguale a ciò che è in basso".

L’intero Corpus Hermeticum, che è una raccolta di testi sapienziali, si fa così mappa iniziatica della condizione umana e del suo anelito verso l’Uno. Il solstizio, in questa chiave, non è semplicemente un evento astronomico, ma metafora del percorso iniziatico stesso che riflette il moto dell’anima verso l’illuminazione e il ritorno all’origine.

Anche la coscienza umana ha i suoi "solstizi" – momenti di massima espansione dell'ego che necessariamente si rovesciano in contrazione contemplativa. Così l'intelletto ha le sue stagioni: fasi di conquista razionale che sfociano in rese intuitive.

Ecco che il solstizio d'estate è il momento in cui il tempo lineare rivela invero la sua natura ciclica, in cui la progressione svela il suo carattere spiraliforme. Sistole e diastole, inspirazione ed espirazione, manifestazione e reintegrazione. È il punto in cui l'espansione non si ferma per "fallimento", ma per completamento: ha raggiunto la sua forma perfetta, ora può iniziare il movimento opposto.

Mircea Eliade

IV

Le due porte dell’anno

La notte di San Giovanni, tra il 23 e il 24 Giugno, l’acqua incontrerà il fuoco. Secondo la tradizione popolare, le erbe che si raccolgono prima dell’alba (iperico, verbena, artemisia, ruta assieme ai fiori preferiti), vanno immerse nell’acqua notturna alla luce della luna, per caricarle di rugiada cosmica. Si crea così l’“acqua di San Giovanni”, distillato simbolico del passaggio con cui rinfrescarsi al mattino con l’intento desiderato.

Nella consacrazione dell’estate – stagione di espansione, calore, produzione – si inserisce dunque un messaggio radicalmente controintuitivo: “Bisogna che egli cresca e io diminuisca” (Gv 3,30). Il solstizio ci invita alla misura, riconoscere lo splendore nell’equilibrio.

L’ermetismo collega i due solstizi all’asse nord-sud: Giovanni il Battista (21 giugno) e Giovanni l’Evangelista (21 dicembre), che reggono i cardini solari. Non è un caso che ambedue custodiscano il nome Ioannes, l’archetipo del guardiano. Le due figure custodiscono le due porte dell’anno, i due estremi della luce.

Discesa e risalita.

Il primo apre il passaggio alla materia – col battesimo dell’acqua, il lavacro della nascita. Il secondo, con la visione dell’Apocalisse, segna la via della reintegrazione luminosa. Tra i due estremi si dispiega il ciclo dell’incarnazione: la tensione tra il fuoco che consuma e l’altro che trasforma.

Nel simbolismo ermetico, il fuoco non è solo elemento distruttivo, ma si fa principio trasmutativo.

Il fuoco solstiziale – quello dei falò, dei salti propiziatori, delle purificazioni – diventa medium per bruciare l’eccesso e fare spazio all'essenziale. Celebrare il solstizio significa dunque tradurre quel fulgore in slancio interiore: esercitando la visione consapevole, orientando l’energia verso il fuoco creativo, coltivando la luce dentro.

V

Ogni culmine implica il ritorno

Applicata ai giorni nostri, questa lezione non potrebbe essere più urgente. Il mondo sensibile non regge l’espansione illimitata: ciò che si dilata oltre misura si corrompe, implode, si richiude. E ogni sistema che ne ignora la legge profonda si espone al collasso.

Il paradigma solare odierno è infatti quello dell’eccesso: crescita infinita, consumo senza ritegno, produzione che non conosce cicli. Il capitalismo avanzato – o meglio il capitalocene (Jason W. Moore, 2016) – conosce solo la spinta. Eppure, i segnali si moltiplicano: l’Overshoot Day si anticipa ogni anno, mentre le COP – inclusa quella di quest’anno in Brasile – faticano a mettere in pratica una vera inversione di rotta.  Se tutto risponde alla legge della ciclicità, solo il capitalismo operato dall’uomo, nella sua forma attuale, teme la stasi come fosse una minaccia.

Come il sole al suo zenit, dunque anche l’attuale modello di civilizzazione è già entrato nella sua fase discendente. È il sistema stesso a manifestare una hybris strutturale, una tracotanza sistemica che sfida cicli, soglie, leggi termodinamiche.

Celebrare il solstizio oggi significa imparare a sostare: sottrarsi alla narrazione del picco come trionfo, e riconoscere – nel ritmo, nell’alternanza, nel limite – il sapere evoluto.

È tempo di comprendere che la prosperità sta nell’abbandonare l’idea di crescita perpetua e coltivare un’intelligenza del ciclo.

Accettare l’inversione, per potersi trasformare.
Il mio è un invito radicale: abitare l’etica della soglia, come pratica e ricordo di sé (vedere G.I. Gurdjieff e la sua “Quarta Via”). Le domande ci chiamano, verso nuove posture mentali:

  • Dove, nella nostra vita, abbiamo raggiunto l’apice senza saperci fermare?

  • Quali forme di "luce" sono diventate accecanti?

  • Cosa va bruciato per ritrovare l'essenziale?

Fonte: LIKALINéA


Scritto da Giuseppina Mendola  | Founder di Sintesi Aurea

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