La ferita del talento e la trappola dell'economia della visibilità | Luna Nuova in Leone di Luglio 2025


L'economia della visibilità e il talento nascosto

Il talento non riconosciuto oggi non è più un dramma individuale. È l'effetto collaterale di un'economia della visibilità che monetizza l'identità.

L'ecosistema digitale contemporaneo esaspera il bisogno di visibilità, trasformandolo in performance cronica. Nel branding di sé, nella reiterazione identitaria, nei contenuti che vengono moltiplicati senza meta, assistiamo a una metamorfosi inquietante: la creatività non serve più a esprimere chi siamo, ma solo a dimostrare che esistiamo, fino a scimmiottare le tendenze come per riflesso automatico, nel loop dell’apparire.

Il narcisismo leonino, che dovrebbe essere energia creativa necessaria all'autorealizzazione, si deforma in questa dinamica: se non trova espressione autentica, implode nel silenzio, o peggio si trasforma in grandiosità performativa. L'estetica contemporanea ha ridotto l'espressività a estetizzazione dell'io, creando un paradosso paralizzante: molte soggettività preferiscono "restare nell'ombra", rinunciando all'autoespressione del proprio talento per non rischiare di "prostituirlo" alle logiche del mercato della visibilità. La conseguente castrazione creativa non è quindi accidentale, ma strutturale al sistema dell'economia dell'attenzione.

Come osserva Byung-Chul Han: «La società della prestazione è dominata dal verbo modale "potere", non dal "dovere". Il "Yes we can" di Obama esprime proprio questo sentimento esistenziale della società della prestazione». In questo contesto, ogni individuo è chiamato a essere imprenditore di se stesso, ma paradossalmente questa libertà si tramuta in una nuova forma di schiavitù: quella dell'autorappresentazione continua.


"La costellazione del Leone", illustrazione tratta da 'Recueil d'astronomie et de mathématiques' (secondo quarto del XV secolo), Bibliothèque Municipale, Lione.

Oggi, 24 luglio 2024, la Luna Nuova si vela nel Leone, segno d'oro e di fuoco, cardine di identità e radiazione dell'essere, attivando un nodo critico della psiche collettiva: il bisogno di essere riconosciuti.

In psicoastrologia evolutiva, il Leone rappresenta l’emergere della volontà creativa: quel punto in cui l’individuo desidera affermarsi come presenza, ma può cadere vittima del suo stesso avatar. Come avverte Hillman, il rischio dell'Io leonino è anche narcisismo, isolamento, verticalismo dell'ego: se l’anima non è il centro da cui si genera, l’Io si riflette all’infinito e si svuota, degenerando in maschera.

Questo novilunio astrologico evidenzia dunque lo scarto tra identità e immagine, tra l’espressione autentica e l’esibizione, chiamandoci a riformulare la nostra posizione nel mondo superando il complesso di attaccamento e virando verso una visione trasformatrice delle nostre ferite inespresse.

A ciò si aggiunga che una Luna Nuova – congiunzione Sole-Luna – implica un blackout della visibilità. Il buio lunare crea una tensione fertile tra il voler essere soggetto e il ritrovarsi identificati con le maschere che indossiamo, aprendo uno spazio di riflessione profonda sulla nostra vera natura.


Il fuoco alchemico del “cor di leone”

Hillman, nella sua ricerca sui fondamenti alchemici della psiche, ci offre una chiave interpretativa preziosa per comprendere l'energia leonina:

«La psicologia alchemica condensa in modo eccezionale i due tratti del "cuor di leone" – la conformità del suo pensiero e la sua oggettivazione – nella sostanza alchemica chiamata sulfur, il principio di "combustibilità", la magna fiamma. "Dov'è che si può trovare questo sulfur?", chiede Sendivogius, un benedettino del XIV secolo: "In tutte le sostanze, in tutte le cose del mondo; metalli, erbe, alberi, animali, pietre sono il suo minerale"».

Questa citazione illumina un aspetto fondamentale: il "cuore di leone" non è semplicemente coraggio o audacia, ma rappresenta quella qualità sulfurea – infiammabile, trasformativa – che permette alla materia psichica di transmutarsi.

Il sulfur alchemico è il principio attivo che consente la trasformazione, presente in ogni elemento della creazione. Nel Leone, questo principio si manifesta come capacità di irraggiare la propria essenza autentica nel mondo, di essere centro creativo e trasformativo.

Il narcisismo del Leone è necessario, ma pericoloso: se non trova espressione autentica, implode nel silenzio, o peggio si deforma in grandiosità. L'estetica contemporanea ha infatti ridotto l'espressività a estetizzazione dell'io, con la conseguente castrazione di molte soggettività che preferiscono "restare nell'ombra", rinunciando all'autoespressione del proprio talento per non rischiare di "prostituirlo" alle logiche del mercato della visibilità.


Funzione o finzione? That is the question

Nel saggio Il codice dell'anima, Hillman mette in discussione l'ideologia contemporanea della "realizzazione del sé", smascherandone l'illusione di una progressione lineare verso un'identità definitiva e compiuta. Il Leone astrologico incarna perfettamente questa tensione rappresentando il campo di battaglia permanente tra ruolo sociale imposto e vocazione animica autentica.

Nel capitalismo attuale – in cui ogni soggettività è invogliata a produrre sé stessa come brand narrativo – assistiamo a quella che Franco Berardi definisce la cattura capitalistica del desiderio stesso. Il lavoro non coinvolge più solo il corpo e il tempo dell'operaio, ma la sua creatività, la sua capacità comunicativa, la sua soggettività. «Il capitalismo cognitivo cattura il desiderio e lo mette al lavoro, trasforma la creatività in produttività, l'immaginazione in innovazione».

La sequenza identitaria si trasforma in una catena di produzione dell'immagine di sé: dalla domanda esistenziale "Chi sono?" si passa alla costruzione strategica "Chi dico di essere?" per arrivare alla dipendenza sociale "Da chi vengo validato come io?". L'identità leonina – che dovrebbe essere irraggiamento spontaneo dell'essere – diventa performance calcolata per il mercato dell'attenzione.

In questo contesto, la questione decisiva diventa quindi: stiamo esercitando nel mondo una funzione narrativa che esprime la nostra autenticità oppure una finzione narrativa che ci rende funzionali al sistema produttivo?

A partire da questa interrogazione, la risposta non può essere un rifiuto della narrazione in sé, ma la sua trasformazione in atto di cura immaginale (Hillman), trasformando tutte le nostre inclinazioni in declinazioni estensive della nostra felicità. Ovvero scrivere, amare, raccontare, godere – creare – per sottrarre energia alla narrazione dominante che atrofizza le nostre esistenze in routine produttive e prevedibili.


Attivare l’organo dell’immaginazione

«Orbene, l’organo che percepisce il volto delle cose è il cuore. Il pensiero del cuore è fisiognomico. Per percepire deve immaginare. Deve vedere fattezze, forme, facce: angeli, dèmoni, creature di ogni genere in cose di ogni tipo; e con ciò stesso, il pensiero del cuore personizza, infonde anima e anima il mondo.»

L’archetipo del Leone è connesso all’organo del cuore.  Hillman ha restituito al cuore la sua dignità di centro immaginativo. Nella concezione aristotelica, «il cuore è la parte più calda del corpo, la fonte centrale del sangue e del calore organico. Esso sente e risponde direttamente, perché gli organi che sentono il mondo corrono al cuore». Il cuore emerge così come crocevia percettivo, punto di convergenza tra mondo interno ed esterno. La tradizione paracelsiana radicalizza questa visione: «il cuore microcosmico nei nostri petti è il luogo dell'immaginare, e la sua immaginazione è in armonia con il cuore macrocosmico del mondo, il sole».

Il battito cardiaco risuona quindi con il ritmo solare, rivelando «un mondo come luogo di immagini viventi e l'organo che ce lo dice è il nostro cuore». Questa prospettiva animistica dissolve la separazione moderna tra soggetto e oggetto, restituendo al cosmo la sua dimensione immaginativa.

La metafora hillmaniana dell'infarto ci permette di fare un ulteriore passo in avanti. «Se il cuore è il luogo delle immagini, un infarto cardiaco riguarda allora un cuore imbottito dei suoi stessi prodotti: le attività immaginative. È un cuore ostruito dalle sue stesse esuberanze sulfuree, che non sono entrate in circolazione».

L'era dell'iper-immagine digitale rende questa diagnosi profetica: la società dell'autorappresentazione produce una saturazione immaginativa che blocca la circolazione simbolica autentica. Le piattaforme social creano camere di risonanza dove le immagini si accumulano compulsivamente, generando quello che possiamo definire un "infarto mediatico" dell'immaginario collettivo.

Oggi dunque, la sovrapproduzione di contenuti autorappresentativi ostruisce i canali attraverso cui l'autentica creatività dovrebbe fluire verso la comunità. 

La cura immaginale hillmaniana offre la possibilità di sovvertire le paralisi, serbando una lezione preziosa: il Leone genuino non necessita di pubblico per irraggiare: la sua luminosità è intrinseca, autosufficiente.

In questo senso, nel buio lunare oggi siamo chiamati a riscoprire quella luminosità interiore che non dipende dal riconoscimento esterno ma dalla fedeltà alla vocazione animica. Il cuore leonino, liberato dalle ostruzioni dell'ego performativo,  può tornare a essere quello che è sempre stato: il luogo dove le immagini del mondo si trasformano in atti di amore creativo.


Citazioni tratte da: J. Hillman, L’anima del mondo e il pensiero del cuore

Scritto da Giuseppina Mendola | Founder di Sintesi Aurea

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