Refik Anadol e “Renaissance Dreams”: un’indagine audiovisiva sulla mostra al MEET di Milano e sulla creatività nell’era dell’IA
Viviamo un’epoca in cui l’intelligenza artificiale non è solo un avanzamento tecnologico, ma una nuova dimensione della creatività dal potenziale estensivo. Una memoria algoritmica che si fa musa, capace di rileggere il passato e suggerire visioni per il futuro. La questione non è più se l’IA possa essere creativa, ma quale tipo di creatività sia possibile attraverso di essa.
Dati in metamorfosi: dall’archivio al sogno generativo
Nello spazio permanente del MEET Digital Culture Center di Milano, Refik Anadol prende un’epoca d’oro – il Rinascimento – e la trasforma in un flusso di dati, senza inizio né fine. La sua installazione Renaissance Dreams raccoglie centinaia di migliaia di immagini di capolavori antichi, le decompone e le riassembla in qualcosa che non è più pittura, ma nemmeno astrazione.
Questa pratica richiama il concetto di “sogno generativo”, teorizzato dallo stesso Anadol: le reti neurali non archiviano passivamente i dati, ma li rielaborano in visioni inedite, traducendo la memoria in esperienza sensoriale. Il dato si emancipa dalla sua funzione documentaria e diventa tessuto onirico.
“I dati per me sono pattern per dare forma a nuove realtà, strumenti per mettere in relazione scienza, arte, storia”.
Postumano o iper-umano? L’artista come curatore di processi generativi.
Dal Rinascimento all’era digitale, il cuore dell’arte è sempre stato l’atto umano di dare forma al pensiero. Il Rinascimento è stato un periodo storico cruciale per la ridefinizione del sapere: l’uomo al centro, la prospettiva come metodo di comprensione del reale, l’arte come strumento per decifrare il mondo. Se quel tempo ha visto la fioritura dell’individualità artistica e la nascita di una nuova epistemologia visiva, oggi l’intelligenza artificiale ridefinisce le coordinate della creatività. Non più l’artista solitario che domina la tela, ma un nuovo orizzonte in cui le parole e gli algoritmi si fanno strumenti di composizione, permettendo un’interazione fluida tra soggetto, codice e memoria collettiva.
Teorici come Rosi Braidotti e Donna Haraway parlano di postumano come di un’umanità che si riorganizza, mentre Stefan Lorenz Sorgner vede un passaggio all’iperumano, un’estensione delle possibilità creative. Il gesto artistico non si dissolve, ma si moltiplica, trovando nuove declinazioni nell’interazione con sistemi intelligenti. L’artista non è meno autore, ma esplora nuove modalità espressive attraverso pattern, dati e algoritmi. Più che ridefinire i confini dell’arte, l’IA li estende, suggerendo modelli inediti di produzione e fruizione estetica.
La macchina non chiude il cerchio: l’arte come conversazione continua.
C’è stato un tempo in cui l’arte si misurava con la materia: la pittura sulla tela, lo scalpello nel marmo. Oggi, l’artista si muove su un nuovo orizzonte, dove è sia autore che curatore di processi generativi. L’intelligenza artificiale è solo uno strumento in più, che si modella attraverso il nostro sguardo.
Ciò che conta è che il dialogo resti vivo. Non tra uomo e macchina, ma tra artista e artista, tra opera e interpretazione.
La creatività non è mai stata un atto solitario, ma una rete di rimandi, influenze e riscritture. Così, la mostra di Refik Anadol non è un punto d’arrivo, ma di partenza: attraverso il mio videoart teaser, raccolgo le impressioni, le trasformo, le restituisco sotto una nuova luce, facendo della contemplazione un racconto inedito.
Non è solo un esercizio estetico, ma una partitura aperta. La vera domanda non è se possiamo creare con l’IA, ma come vogliamo che l’arte continui a risuonare nel tempo e a tessere un immaginario condiviso.
Il futuro non è uno schermo bianco,
ma una tela già in movimento.
Testi, riprese e videoart di Giuseppina Mendola
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