Mina diventa MINA.I.: la regina della musica italiana ora è un avatar
Che fine hanno fatto i videoclip musicali, un tempo manifesti estetici capaci di ispirare l’immaginario collettivo? Un’era, quella di MTV, dissolta nell’oblio, soppiantata da un ecosistema digitale che ha frantumato la narrazione in loop, snippet e visualizer. L’immagine si è assottigliata, il rito dell’attesa si è dissolto. Oggi, ridotti a frammenti, i video rincorrono l’algoritmo in un eterno déjà vu.
Crediti: IULM AI Lab diretto creativamente da Eugenio Di Fraia
Eppure, tra le macerie di questa trasformazione, riemerge Mina. La diva senza volto, l’icona che da decenni ha scelto l’assenza come cifra stilistica, torna con un gesto potente: nel video di Abban-dono—realizzato con IULM AI Lab—taglia la sua treccia e si lascia attraversare dall’algoritmo. Il taglio della sua treccia è un rito di passaggio, il lasciapassare per un universo dove il passato si ricombina in un gioco di specchi, e la maga della musica diventa ora dipinto, ora visione, ora fantasma familiare e irriconoscibile. Un’operazione che supera il semplice esperimento visivo per farsi dichiarazione di poetica: un’interrogazione sull’identità, sulla memoria culturale e sul ruolo dell’intelligenza artificiale nell’arte.
Il risultato è un labirinto di citazioni e metamorfosi, dove Mina si fa Monna Lisa, creatura rococò e musa inquietante. Il fasto dell’immagine digitale, però, si scontra con una tensione profonda: la voce, che resta l’unico ancoraggio al reale. Il canto di Mina—fisico, umano, vibrante—si staglia come un’anomalia preziosa in un’estetica iperprodotta, ricordandoci con forza l’autenticità e l’emozione intrinseche alla parola, aspetti che le scenografie generate dall’IA faticano a catturare.
In un simile scenario, dove l’antico stupor mundi è orchestrato dall’artificio, la riflessione cruciale nasce spontanea: da quale sorgente e con quale forza emergeranno nuove visioni?
Tutto questo è infatti affascinante e inquietante al contempo. Perché mentre Mina si presta al gioco del “chi sono, chi ero, chi sarò?”, sorge una questione spinosa: stiamo ancora creando o stiamo solo remixando all’infinito? L’AI può sostituire la fantasia o è solo il suo specchio deformante? Siamo di fronte a un nuovo Rinascimento digitale o a un eterno ritorno dell’uguale? E, soprattutto, se non riusciamo più a stupirci, la colpa è della tecnologia o della nostra pigrizia creativa?
Scritto a quattro mani da Daniele Magro e Saturnino.
“Mi piacerebbe diventare suono per non avere forma, senso né pensiero”.
Scritto da Giuseppina Mendola
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