Il potere delle parole e la Via della Sottrazione: trovare se stessi con Battiato e Gurdjieff


Dalla bulimia comunicativa della 'società della trasparenza' alla sovranità del Sé. Un’analisi profonda che attraversa l'arte del silenzio, il superamento dell'autorizzazione esterna e il lascito spirituale di Franco Battiato. Scopri come la via della sottrazione e la metacognizione possono trasformare la tua meccanicità in una guida lucida per trovare la tua strada e il tuo vero scopo.

 

INDICE

  • Il linguaggio della misura

  • L'attesa dell’autorizzazione è una malattia culturale?

  • Trovare la propria strada con Gurdjeff e Franco Battiato

 

Scegliere le parole è un atto di potere.


Ogni parola che pronunciamo è una micro-valutazione di fiducia. In azienda, con i partner, nella vita, le persone non ascoltano solo cosa dici, ma come lo dici. L’overexplaining – l’abitudine a spiegare troppo – nasce da due radici psicologiche: l’insicurezza e il bisogno di controllo. Più temiamo di non essere capiti, più riempiamo lo spazio con parole.

Secondo Byung Chul Han ne La Società della Trasparenza è in atto una nuova forma di mutazione antropologica che passa attraverso il pollice che scorre. Lo scrolling compulsivo — oltre 2.600 interazioni quotidiane con lo schermo, attesta l’Università di Copenhagen — ha prodotto un’allarmante afasìa (con l’alterazione dei centri delle vie nervose superiori): l’analfabetismo funzionale unito all'impossibilità di tacere.


Il device ha declassato il silenzio a mero vuoto da colmare ossessivamente, un horror vacui che va soffocato all’istante. Eppure, più parliamo nel mare magnum digitale, più la nostra voce si debilita. La logorrea a cui assistiamo è l’ultima, beffarda, messa in scena della nostra assenza.


Questa bulimia comunicativa non può che per eccesso produrre un unico triste esodo: l’individuo, ridotto a mero input e output, abdica alla critica e si omologa al diktat algoritmico, divenendo un ingranaggio nel ciclo tossico del "produci-consuma-crepa".

Come fare dunque ad educarci all’arte diligente della parola? Bisogna imparare a scegliere meticolosamente cosa dire, calibrarne la forma e l’intenzione e stabilire, con lucidità, se sia il caso di parlare affatto.


«Com’è difficile restare calmi e indifferenti mentre tutti intorno fanno rumore.»

— Bandiera Bianca di Battiato


L’autorità che aspetti sei tu.


In ogni gruppo umano esiste un vuoto di direzione. E questo perché la maggior parte delle persone è stata addestrata ad aspettare. Aspettare l'autorizzazione. Questa attesa non è naturale. È il risultato di un condizionamento che inizia molto presto: a scuola ogni vostra azione viene approvata e valutata, in famiglia vi insegnano quando parlare e quando obbedire, al lavoro, vi avvertono che l'iniziativa non richiesta è rischiosa, nella società, il conformismo vi ha punito ogni volta che avete osato distinguervi senza permesso.

Perciò, la maggior parte degli esseri umani adulti vive ancora in uno stato di infanzia psicologica: aspettando che qualcuno dia loro il permesso di essere chi sono, di fare ciò che sentono vibrante dentro di sè, di essere presenti al proprio talento. Ma la “leadership” non è una carica conferita, né nasce da un imprimatur. È una responsabilità che qualcuno sceglie di assumere in un atto puro e deliberato.


«Non c'è nulla che spaventi di più l'uomo che prendere coscienza dell'immensità, di cosa è capace di fare e diventare»

— Soren Kierkegaard


È come se la sovranità personale fosse rimandata sine die. Nella nostra memoria culturale, permane infatti l’idea arcaica del “sovrano unto dall’alto”, come se la nostra autorevolezza richiedesse un’investitura.

«Agire in conformità al proprio desiderio» (Lacan) significa esercitare un’intelligenza contestuale che interpreta il paesaggio delle possibilità e vi risponde operativamente, superando le paure che frenano.

Non si attende più il benestare della propria attendibilità. Al contrario: si sfodera l’intelligenza di chi ha sciolto il legame puerile con la legittimazione esterna e si radica nella propria autorità interiore. Chi è dunque il vero maestro? Colui che interpreta la necessità comune e vi risponde. Guardare al presente e coglierne i bisogni, muovendo un passo quando tutti restano immobili — sospesi in un’attesa senza soggetto — è un atto di volontà al tempo stesso semplice e raro (R.Assagioli).

Stando a questa prospettiva, diventare “chi siamo” è un gesto sorprendentemente elementare. Occorre archiviare il timore di non essere legittimati e iniziare a praticare la propria scelta. Solo in tal modo, l’individuo ritrova un’antica risorsa adattiva che lo accompagna fin dai primordi della specie: produrre orientamento per sé stesso e, indirettamente, per gli altri.

Chi smette di cercare l’approvazione esterna e scopre la propria voce interiore trova una forza nuova, antica come l’uomo stesso. E allora la strada comincia a prendere forma sotto i piedi, un passo dopo l’altro, senza più il bisogno di confrontarla con quella di chiunque altro.


Tu non sei il tuo CV.


Il sistema vi vuole accumulatori di funzioni, spuntatori di caselle su un curriculum che è la vostra lapide. Siate eversivi: sottràetevi. Non aggiungete nulla a questa commedia. Identificate le difese che la società vi ha imposto e scopritele per quello che sono: catene.


Ogni vera crescita interiore passa attraverso l’arte della sottrazione. Spoiler: siete il maestro e gli allievi, il giudice e gli imputati.


Oggigiorno questo tipo di lavoro interiore è relegato alla sola psicoterapia, utilissima ma spesso vissuta in solitaria e senza una disciplina che ne orienti anche i "compiti a casa". Chi autonomamente guarda nel proprio buio senza voltarsi, chi attraversa la propria frammentazione senza mentirsi, compie invece un gesto rivoluzionario, diventando, per riflesso, modello di ispirazione per l'altro.

Il conformismo si nutre dell’alienazione collettiva: quando qualcuno rompe il patto e si individua, crea per risonanza uno spazio dove altri possono seguirlo. La vostra guarigione non è un fatto privato: è l'inizio della rivoluzione altrui.


1975. Battiato incontra Gurdjeff. Niente sarà più come sembra.


Il 1975, per Battiato, è l'anno del terremoto. In preda a quella che lui stesso definirà "una sorta di straniamento", il giovane Franco abita una terra di nessuno che da una crisi profonda lo porta sulla via della ricerca.

Per capire questo strappo, bisogna guardare il paese di quegli anni. Siamo all'indomani del ‘68. L’interesse per il sacro, la psicologia e il benessere planetario ha toccato vertici mai visti grazie alla spinta hippie. Ma è una primavera breve: l'eroina sta per arrivare a sporcare quella ondata riformista col suo mortifero olezzo. L’Italia sta perdendo la sua anima contadina e spirituale — quella "scomparsa delle lucciole" denunciata da Pasolini — e Battiato si trova nel mezzo di questa mutazione. È l’inizio di un viaggio che, anni dopo, esploderà in un successo dirompente sotto forma di trilogia: La Voce del Padrone.

In questo contesto, alla ricerca di sé, Franco si avvicina alla meditazione, prima percorrendo i sentieri dei mistici indiani — Aurobindo, Yogananda — e poi, nel 1975, incontrando gli insegnamenti della Quarta Via del ricercatore armeno Georges Ivanovič Gurdjieff.

Sebbene il titolo che abbiamo scelto per questo approfondimento, “Lascia tutto e seguiti”, sia un verso scritto molto tempo dopo insieme a Manlio Sgalambro (Il mantello e la spiga,1998) condensa l’ambrosia d’una ricerca che durerà a partire proprio da questi anni per tutta la vita.


«Prendi il modo d'intendere dell'Oriente e la conoscenza dell'Occidente, poi mettiti a cercare.»

— Gurdjeff


Prima della polvere degli anni di piombo, c’era una fame di verità che oggi fatichiamo a comprendere. Franco Battiato la incanala nell'incontro con Gurdjieff. È l'innesto di una conoscenza confinante tra due mondi, che trasforma un cantante sperimentale nel testimone lucido di un'intera epoca, capace di denunciare la nostra meccanicità.

La discesa dentro di sé — qui intesa nei termini di processo di individuazione «con la lacerazione della personalità e con la sofferenza che ne consegue» — viene avvertita come un'autentica opera di trasmutazione alchemica del carattere, al fine di riconoscerne falsità, potenzialità e limiti.

«Il mio compito è quello di stimolare e creare un interesse verso una certa ricerca». Franco vede nella musica una potenza antica e riformante. Per combattere il graduale e progressivo oscuramento spirituale del mondo, il Nostro, guidato dal monito delfico, si avventura in avanscoperta nei luoghi segreti del sé.

Lo scopo non era l'affermazione individuale, “diventare qualcuno”, ma la realizzazione umana per la trasformazione collettiva.


Siamo macchine che dormono.


La disidentificazione dall’ego, cioè la decostruzione degli io che ci abitano, la pratica costante del ricordo di sé e, infine, la sublimazione delle cecità automatiche, dominanti l’uomo comune, diventano interrogazioni pressoché costanti in tutte le sue canzoni, dalle più alte alle più leggere.

È questa la lezione che Gurdjieff porta dai suoi vent’anni di viaggi tra monasteri e danze sacre: l'uomo vive in uno stato di sonno meccanico. Come svegliarci? Uccidere l'ego per ritrovare l'Uomo. Battiato traduce questo shock in musica. Portando nelle classifiche concetti come il “centro di gravità permanente” e la “sublimazione”, ci ricorda che siamo schiavi di forze inferiori che scambiamo per volontà.


«…Che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose sulla gente…»

Centro di gravità permanente di Franco Battiato


Centro di gravità permanente o metacognizione


Stando dunque all’insegnamento gurdjieffiano, il cosiddetto centro di gravità permanente è la capacità di porsi fuori da sé per guardarsi vivere. La scienza contemporanea la riconosce oggi come una funzione oggettiva del cervello: la metacognizione. Praticare questa osservazione smonta la nostra falsa narrativa e crea un testimone interno:un centro di controllo che scinde la verità dal chiacchiericcio ossessivo della mente. È qui, distinguendo finalmente il reale dall'immaginario, che smettiamo di subire noi stessi.

Questo è lo stato dell’essere da cui ci vediamo agire, testimoni della nostra carne che attraversa la storia, presente e distante, incarnata eppure capace di denuncia contro la propria meccanicità.


Nessun dubbio che si insinua, nessun angoscia che pervade, solo un estatico scorrere degli eventi-pensiero come fossero film muti. Uno spazio sconfinato dove i “campi magnetici” parlano senza ausilio di parole, in quella valle sensuale tra l’ intuito e la fede, in cui ritroviamo la nostra lingua madre.


Ogni parola non necessaria è un velo che si interpone tra la verità del nostro essere e la realtà. Il compito spirituale che ci attende è praticare: quando parliamo dalla nostra frammentazione, generiamo solo confusione; quando invece parliamo dall'unità interiore, anche una singola parola possiede il potere di guarire, illuminare, trasformare.

Chi è davvero sicuro di ciò che dice può permettersi di parlare lentamente, di lasciare pause, di dare spazio all'altro per comprendere. Può incontrarsi senza irrigidirsi col silenzio perché è pregno del suo significato "incarnato". E questa economia del dire crea rispetto, perché gli altri sentono il peso specifico dei vostri ideali, sentono che sono un’emanazione dell’essere custodito nelle profondità del corpo.

Chiedetevi dunque: quali sono le posture che sabotano la vostra credibilità? State parlando dall'ego ferito che cerca validazione o dall'essere autentico che desidera servire? Nel primo caso, moltiplichiamo le parole per il vuoto da riempire. Nel secondo caso, una sola parola basta, perché porta con sé l'intera verità di ciò che siamo. Il nostro daimon, il nostro splendido dono.

Le risposte a questa domanda le lascio a voi lettori. E vi invito, a cavallo tra un anno e l’altro, ad origliare fin dentro i vostri organi quella voce melodiosa dell'anima in contatto con la musica delle sfere: il sentire come sapere.


«Il faut abandonner la personalité pour retrouver votre je / changer dame, cheval et chevalier / changer d'habit baton et penseé»

— Tratto da Personalità empirica di Franco Battiato, scritta da Manlio Sgalambro.

 

Riproduzione riservata © | Scritto da Giuseppina Myriam Mendola  | Founder di Sintesi Aurea

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